A proposito di “Salute mentale”…
Il malessere è una questione politica di enorme portata: sofferenza e disagio, nelle loro molteplici manifestazioni, hanno raggiunto caratteristiche epidemiche nei Paesi occidentali.
L’attuale fase del capitalismo e la rottura dei suoi vecchi assetti imperialisti ha reso necessario il proliferare di nuovi scenari di guerra e, sul fronte interno, di nuove politiche di austerity e di repressione. Sono decenni, inoltre, che l’ideologia neoliberista dominante ha imposto modi di vivere all’insegna di un individualismo e di una competitività sfrenati, ha normalizzato e consegnato un mondo sempre più definito da enormi diseguaglianze sociali ed economiche e in cui il dissenso e la solidarietà sono criminalizzati: un mondo abitato da una popolazione precaria e impoverita, disgregata e alienata.
Il malessere dilaga.
Questo, in breve, il risultato degli ultimi 50 anni di storia e il contesto in cui un sistema di sfruttamento senza limiti ha goduto del supporto di una nuova psichiatria.
L’intervento psichiatrico, benché riposi su basi eziologiche deboli se non palesemente arbitrarie, è l’unico all’interno della medicina che prevede l’obbligatorietà della cura tramite il Trattamento Sanitario Obbligatorio (5118 TSO praticati in Italia nel 2022, 14 al giorno), la contenzione meccanica, l’elettroshock ancora largamente usato, l’imposizione dell’assunzione di psicofarmaci che genera cronicizzazione dei sintomi e stigmatizzazione escludente della persona.
Su questa linea si pone l’attuale disegno di legge cosiddetto Zaffini (“Disposizioni in materia di tutela della salute mentale”) elaborato dall’attuale governo Meloni e in via di approvazione alle Camere, in uno spirito che ripresenta dispositivi manicomiali di inizi ‘900, considera la sofferenza interiore un mero problema di ordine pubblico e quindi, tra le altre cose, prolunga da 7 a 15 giorni rinnovabili il TSO e ripropone (“in caso di necessità”) l’attuazione di misure e trattamenti coattivi fisici, farmacologici e ambientali.
La psichiatria organicista, ristabilendo un paradigma biologico alla base della sofferenza psichica, ha di fatto cancellato il quadro del vissuto personale, sociale e storico dal suo ambito d’interesse, promuovendo come unica soluzione l’uso massiccio e sconsiderato di psicofarmaci.
Appare esplicito il suo ruolo di repressione e controllo all’interno del sistema carcerario e dei CPR. In queste strutture la somministrazione di psicofarmaci – che concorre tra l’altro ad aggravare la patogenicità di questi luoghi di detenzione – è troppo spesso arbitraria, ingente e quindi non focalizzata sulla presa in carico e sulla cura degli individui trattenuti, quanto piuttosto incentrata sulla sua funzione anestetizzante, finalizzata all’accettazione delle condizioni degradanti in cui le persone ristrette sono costrette a vivere. Inoltre avviene senza acquisizione di consenso informato o addirittura profusa di nascosto nel cibo, con pesanti effetti sedativi. Questi strumenti affiancano sistematicamente il manganello nella gestione delle persone detenute, producendo conseguenze a lungo termine e in alcuni casi anche letali. Le statistiche sull’utilizzo degli psicofarmaci all’interno delle carceri e dei CPR, elaborate da inchieste indipendenti (rapporto Antigone, Altraeconomia) indicano chiaramente quanto la contenzione chimica rappresenti un dispositivo ormai diffusissimo e strutturale.
Il manuale diagnostico statistico della psichiatria -il DSM- nel corso delle sue varie edizioni è riuscito a produrre diagnosi per ogni manifestazione di malessere o di tipicità degli individui, medicalizzando di fatto ogni aspetto delle espressioni e dei comportamenti non conformi ai diktat del vivere sociale. In seguito all’introduzione, ad esempio, di nuove patologie infantili all’interno dell’ultima versione (il DSM-5 del 2013), la fascia di età nella quale in Italia, negli ultimi anni, si è registrato il maggiore aumento di diagnosi psichiatriche e prescrizioni di psicofarmaci è quella dell’infanzia e dell’adolescenza.
Oggi a scuola sono sempre di più lə bambinə e lə ragazzə che hanno diagnosi psichiatriche, in particolare di disturbo dell’adattamento, dell’attenzione, iperattività̀, depressione, disturbo bipolare. Il paradigma organicista ci porta a trascurare il quadro sociale (scuola, famiglia, ecc…) a favore di un presunto malfunzionamento biologico e individuale, avallando l’assunzione di psicofarmaci in età evolutiva. Questi, oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona, alterano il metabolismo e le percezioni; rallentano i percorsi cognitivi e ideativi contrastando la possibilità di fare scelte autonome; generano fenomeni di dipendenza e assuefazione del tutto pari, se non superiori, a quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti. Dalle quali gli psicofarmaci si distinguono non per le loro proprietà chimiche o per gli effetti, bensì solamente per il fatto di essere “legali”, prescritti da un medico e commercializzati in farmacia. Presi a lungo termine molto spesso, e soprattutto in età pre-adolescenziale e adolescenziale, hanno come conseguenza la cronicizzazione delle difficoltà e la creazione di veri e propri squilibri chimici nel cervello. Ed è forse anche per questo che, dalla loro massiccia immissione sul mercato, il numero dei casi di “disturbi psichici” piuttosto che diminuire sembra aver raggiunto una cifra epidemica.
Secondo l’Agenzia Italiana del Farmaco, sono 12 milioni lə italianə che oggi assumono psicofarmaci. Da un punto di vista commerciale, questa categoria di sostanze rappresenta la più importante fonte di entrate per le case farmaceutiche (si stima un giro d’affari mondiale di 900 miliardi di dollari l’anno).
Sin dai primi anni Duemila il decreto Fini-Giovanardi ha rafforzato il legame proibizionismo-psichiatria. La cosiddetta “doppia diagnosi” ha trasformato in merce per le multinazionali farmaceutiche e per l’industria del recupero e della riabilitazione le consumatrici e i consumatori di sostanze illegali, consideratə “malatə mentali” in quanto drogatə e “drogatə” a causa della loro “malattia mentale”. Nonostante si dimostri proibizionista nei confronti di chi consuma volontariamente sostanze, la psichiatria diffonde sul mercato molecole psicoattive e somministra trattamenti farmacologici che sono spesso introdotti coercitivamente nel corpo delle persone.
Non siamo a priori proibizionistə rispetto all’utilizzo di psicofarmaci, ma siamo contro una psichiatria che sembra aver rinunciato, a favore dell’obbligo di cura, a un approccio dialogante che porti alla conoscenza dell’influenza sulla persona dei fattori ambientali, relazionali, sociali e culturali in cui vive o con cui è costretta a vivere.
Riteniamo che spetti unicamente all’individuo la possibilità di decidere in libertà e consapevolezza la propria cura.
Assemblea Rete Antipsichiatrica
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